"La maggior parte delle situazioni in cui ci mettiamo
non si sarebbero mai spinte così lontano se non le avessimo aiutate"
José Saramago

12176288.jpg

Condividi...

Submit to FacebookSubmit to Google PlusSubmit to StumbleuponSubmit to TwitterSubmit to LinkedIn

Nuovi orizzonti professionali e aggiornamento
L’università è un periodo di formazione in cui l’individuo ac­cresce il suo bagaglio culturale e, nello stesso tempo, acquisisce nuove abilità di pensiero. Infatti, in assenza di una mentalità capace di distinguere e classificare tra la notevole mole di dati e nozioni, la conoscenza in sé perderebbe tutto il suo valore e utilità.
Tuttavia, la formazione accademica dell’individuo non può che essere costruita intorno alle conoscenze del periodo in cui si frequentarono le aule dell’università o della scuola. La conclusione del corso di studi, per molti, rappresenta anche il termine di un viaggio che rimane, per così dire, fotografato all’epoca in cui si svolse. L’attività professionale, specie nel campo della salute, ha come basi la formazione dell’università ma non può limitarsi a questa. Infatti, per comprendere le nuove sfide è necessario ar­ricchire continuamente il proprio bagaglio di conoscenze e re­stare aggiornati. Purtroppo, tutto questo non è semplice perché la scienza moderna è in continua evoluzione su numerosissimi settori, e cercare di tenere il passo di questi sviluppi può rap­presentare uno sforzo incompatibile con la normale attività del professionista alle prese con i problemi del paziente. Per argi­nare questo tipo di problema gli Ordini professionali e le varie agenzie governative hanno promosso e istituito l’ECM, Educa­zione Continua in Medicina. Si tratta di un sistema di aggior­namento professionale che in Italia è partito da qualche anno e consente a tutti gli operatori della salute di essere al passo con i tempi. Tuttavia, il vero aggiornamento rimane un percorso per­sonale, infatti, ognuno ha i suoi interessi particolari e altrettante specificità di utenza.
Poiché non è possibile attingere continuamente dalla letteratura scientifica, rimane l’indubbio vantaggio dei libri scritti dai ricercatori e colleghi che hanno voluto approfondire e condividere i loro interessi. Il panorama editoriale permette questo tipo di aggiornamento informale e può fornire numerosi spunti per nuovi orizzonti, magari trascurati per mancanza di informazioni precise. Nel caso del nutrizionista, l’aggiornamento professio­nale è di particolare rilievo per quanto riguardo le metodologie che sono in continua evoluzione. Rimane il fatto che siamo pur sempre all’interno di un sistema tale da rendere possibile delle proposte indebitamente attraenti o del tutto fuorvianti. E’ il caso delle intolleranze alimentari, un business fondato sulla vendita di apparecchi in grado di determinare quale alimento fa “bene” e quale invece danneggia la salute. In realtà la promessa è addirittura più permeante, infatti, si cerca di indirizzare verso un modello di alimentazione non soltanto salutare ma che ga­rantisca anche contro ogni segno d’infelicità. E’ il caso del controllo del peso che per molte persone rappresenta un pro­blema di assoluta priorità, e che in tutti i modi cercano di risol­vere.
Fortunatamente, con un po’ di pazienza, è possibile di­stinguere quello che è promettente e utile da quello che non lo è. Tuttavia, non è possibile tracciare un metodo sicuro per es­sere al riparo dalle insidie del mercato, ma di solito un aggior­namento professionale che guardi a 360 gradi può garantire un operato professionale soddisfacente e soprattutto utile alle per­sone che ci sono di fronte.

Medicina tradizionale e alternativa
La figura del Medico è sempre esistita nelle società umane. In caso di malattia è sempre stato necessario rivolgersi a qualcuno che sia in grado di dare rimedio e cura. Ovviamente, nei secoli passati questa figura di medico era più vicina a quella del gua­ritore mistico che alla moderna professione medica.
Infatti, pur nel progresso delle conoscenze, è ormai risa­puto che molte pratiche del passato invece di dare beneficio, alla verifica della scienza moderna si sono rivelate dannose se non letali per la salute. Un caso tipico è la pratica del salasso che veniva usata invariabilmente per quasi tutte le forme mor­bose conosciute e sconosciute dell’epoca. Ora sappiamo che in molti casi questa emorragia, provocata e controllata abilmente dal medico, poteva portare ad una situazione di disidratazione che sappiamo oggi essere estremamente pericolosa.
Questo non significa che anche nel lontano passato la gente non veniva curata; certamente, in alcuni casi, tali cure sortivano qualche effetto benefico ma il tutto è riconducibile ad uno stretto empirismo e una buon dose di fortuna. La medicina moderna è, invece, una conseguenza del pensiero scientifico nato con Galileo Galilei. Ogni attività di cura e diagnosi, at­tualmente, deve rispondere a criteri scientifici vale a dire alla sperimentazione e riproducibilità. Quindi la medicina moderna che molto spesso viene chiamata medicina tradizionale, ha come base la prova scientifica. Gli anglosassoni hanno definito questa caratteristica EBM, Evidence Based Medicine.
Questo tipo di medicina ha avuto come innegabile pre­gio quello di rendere oggettiva la pratica clinica, verificando ogni tipo di novità o, al contrario, decidendo di abolire alcune cure considerate, alla prova dei fatti, dannosa per la salute. La medicina alternativa si contrappone e, in alcuni casi estremi, intende sostituirsi alla medicina ufficiale. Si tratta di moltissime pratiche terapeutiche ma anche diagnostiche in cui viene esal­tato il ruolo della novità, invariabilmente non ancora ricono­sciuta dalla medicina ufficiale.
Per altre tipologie di medicine alternative i criteri sono suggeriti da una tradizione profeticamente millenaria, ma dolo­samente dimenticata dalla moderna medicina sempre più tec­nologica. Il mondo della nutrizione non è immune da simili at­tività alternative, infatti, sempre più spesso vengono proposte novità per lo più a tema che suggeriscono un qualche tipo di vantaggio per un particolare modello alimentare. Per chi si vuole avvicinare all’attività di esperto in nutrizione si pone, pertanto, il problema di quale strada scegliere: la medicina uffi­ciale o quella alternativa. A prima vista sembrerebbe scontata la scelta verso i modelli di cura riconosciuti, ma forse non è proprio così. Innanzi tutto è bene precisare che sono ormai mi­lioni, in Italia, le persone che si curano grazie a metodologie mediche e farmacologiche alternative.
Queste persone sono alla ricerca di professionisti prepa­rati in tali discipline alternative, pertanto, è del tutto ovvio che in presenza di una domanda nel mercato della salute si creino i presupposti per una nuova offerta di prestazioni professionali. Quindi, la spinta verso la medicina alternativa può essere molto più forte di quanto si creda e in molti casi preferibile all’intreccio tecnologico della medicina ufficiale.
Il caso del riconoscimento e trattamento delle intolle­ranze alimentari è davvero originale. Infatti, non è tanto sem­plice decidere se si tratti di qualcosa di riconducibile alla medi­cina ufficiale o a quella alternativa. Innanzi tutto sono gli stessi fautori e promotori a dichiarare apertamente la scientificità del loro operato.
Tuttavia, le principali Agenzie della salute fanno nume­rosi distinguo anche senza escludere alcune possibilità. Come vedremo nei prossimi capitoli, il problema delle intolleranze alimentari può essere riconducibile a molti fraintendimenti ed equivoci che portano da una parte l’utente a ricercare soluzioni ai propri malesseri in maniera impropria e dall’altra a spingere il professionista in una direzione che pensava essere coerente al proprio curriculum accademico ma che in realtà non lo è.

Evidence Based Medicine e il ruolo del Nutrizionista
La letteratura scientifica è data dai risultati delle innumerevoli ricerche condotte in tutto il mondo e pubblicate su riviste scientifiche più o meno accredidate. Quando la comunità scientifica internazionale avvalla studi e ricerche i risultati di­ventano patrimonio comune, indispensabili per la stesura di li­nee di guida di trattamento o per le applicazioni tecnologiche.
Il nutrizionista ha una formazione prevalentemente di tipo scientifico con solide basi nella sperimentazione, pertanto, è del tutto naturale per questo professionista operare all’interno dell’ Evidence Based Medicine, la medicina basata sulla prova. Tuttavia, il livello dell’applicazione professionale è di solito molto distante dalla singola ricerca o insieme di ricerche.
Per fare un esempio sappiamo che per la legge della termodinamica, l’energia non si crea e non si distrugge. Nel caso della scienza dell’alimentazione questo significa che una caloria assimilata o è consumata o è immagazzinata sotto forma di grasso corporeo: un’affermazione del tutto pacifica e conso­lidata sia dalle scienze biologiche che fisiche. Insomma, dire il contrario significherebbe mettere in dubbio il nostro mondo fin dalle sue fondamenta. Eppure sono moltissime le persone a cui non sembra poi tanto vero tutto questo. Non è raro in sede di colloquio ascoltare persone fortemente obese che dichiarano di mangiare pochissimo e di non credere al rapporto tra l’eccesso di calorie e aumento ponderale. Purtroppo, anche tra gli addetti ai lavori c’è chi inizia a mettere in discussione quanto imparato all’università.
Il motivo è piuttosto semplice e per certi versi anche comprensibile. Infatti, prendendo spunto dell’esempio citato, un qualsiasi trattamento dell’obesità prevede sempre e comun­que una restrizione calorica per consentire all’organismo di mobilizzare le proprie scorte di grasso corporeo. Le moderne applicazioni su computer permettono di fare calcoli estrema­mente precisi circa la quantità di calorie da prescrivere a se­conda del dispendio energetico. Quindi, fatte le opportune ela­borazioni, risulta prevedibile, in base alle leggi della fisica, che un deficit calorico debba portare ad una riduzione del grasso di deposito. Tuttavia, questo processo a volte avviene e altre volte non avviene.
Gli esperti riconoscono che questo risultato paradossale e in apparentemente contrasto con le leggi di natura e dovuto alla variabilità del comportamento umano, influenzato questo da molteplici aspetti psicologici. Tuttavia, il professionista pressato dalla specifica richiesta del paziente avverte una ina­deguatezza nei propri mezzi e nei casi più reiterati addirittura una certa sfiducia nelle proprie conoscenze. In questa situa­zione, piuttosto frustrante, l’adozione di trattamenti alternativi può essere un attrattiva forte. Purtroppo, in maniera più o meno consapevole si entra in una girandola di prove e contro prove di vari metodi analitici alternativi.
Stessa cosa accade con i modelli alimentari alla moda che da promettenti si rivelano, poi, privi di basi logiche e scientifiche appannando sempre più la propria professionalità. I test per le intolleranze alimentari sembrano offrire una solu­zione del tipo citato per una serie di ragioni. Innanzi tutto la ri­chiesta specifica da parte dell’utenza. Infatti, per via della faci­lità nel reperire le informazioni (internet, riviste, etc) molte per­sone pensano già di sapere di cosa hanno bisogno.
Se ritengono che un test per le intolleranze sia utile al­lora richiedono, specificamente, tale test a prescindere da qua­lunque valutazione preliminare da parte dell’esperto. Per ri­spondere a questa richiesta sembra che l’unico modo sia soddi­sfarla, pertanto, il professionista, persuaso o meno della bontà delle metodiche utilizzate, esegue quanto viene richiesto. Ma c’è anche un altro aspetto. Molti test per le intolleranze ali­mentari sono tarati o costruiti in maniera tale da dare positività per un gran numero di alimenti. Molti di questi sono amidacei o ricchi in grassi e proteine, pertanto, la loro esclusione deter­mina senza dubbio una riduzione, a volte drastica, della quota calorica giornaliera. Con una restrizione alimentare del genere la quota calorica assunta cala in maniera tale da determinare una riduzione del peso.
Guarda caso molti se non tutti di questi pazienti che ri­chiedono tali test sono alla ricerca proprio di questo effetto se­condario che però tanto secondario non doveva essere. Può es­sere che il singolo professionista sia consapevole di questi ef­fetti secondari, certamente distanti dallo scopo stesso di questi test, ma è altrettanto vero che una scelta di questo tipo risponde alla domanda dell’utenza.
Quindi, tutti coloro che intendono proseguire sulla strada della medicina tradizionale o meglio ufficiale non pos­sono fare a meno di considerare non solo i presupposti ma an­che l’uso improprio di determinate metodologie.

Intolleranze, una nuova domanda del paziente
Molte persone presentano delle intolleranze e allergie alimen­tari che causano tutta una serie di disturbi a volte piuttosto seri. Nel primo caso si tratta di una reazione non IgE mediata oppure una carenza enzimatica, nel secondo caso si assiste ad una ti­pica reazione allergica verso un alimento o più propriamente alcune sue componenti.
Salvo specifica indicazione, il trattamento più adeguato è la dieta per esclusione, vale a dire l'elaborazione di menù dietetici bilanciati ed equilibrati che escludano, temporanea­mente o definitivamente, alcuni alimenti. I casi più noti di in­tolleranza sono il deficit enzimatico che porta all’insufficiente scissione del lattosio e la celiachia, un importante disturbo che non ammette il glutine nella propria alimentazione. Quindi, le intolleranze esistono e sono un problema concreto per molte persone.
La diagnosi non presenta problemi grazie a test che pos­sono essere eseguiti in ogni ambulatorio di allergologia. Tutta­via, la richiesta attuale per la determinazione delle intolleranze alimentati sembra assumere forme diverse, con una domanda da parte dell’utenza piuttosto articolata e spesso confusa. In­nanzitutto cosa si cerca di indagare con questi test ? Perché non sono sufficienti i test tradizionali e si vanno affermando una miriade di test alternativi quasi mai presenti nello studio dell’allergologo? Sono domande a cui è possibile dare più ri­sposte a seconda della prospettiva da cui si guarda. Provo a considerare, innanzitutto, una sorta di timore esistente nella so­cietà moderna verso l’alimentazione e i suoi rischi.
Infatti, seppur difficile da decifrare, questa continua ri­chiesta di individuare alimenti a cui si è intolleranti, certamente porta a considerare il desiderio da parte delle persone di cono­scere quali alimenti sono “out” e quale invece vanno bene e sono salutari. Si tratta di una distinzione dicotomica che indivi­dua facilmente la scelta, premiata, nella speranza, da uno stato di salute migliore inteso soprattutto come benessere psicofisico.
Da questa ottica appare chiaro che ognuna di queste persone teme o addirittura è sicura che esistono alimenti che gli sono nocivi ad un livello, potremmo dire, subclinico. Secondo questa logica, è la stessa presenza, indipendentemente dalla quantità e composizione della dieta, a determinare una situa­zione di benessere o al contrario tutta una serie di malesseri che concorrono a peggiorare la qualità della vita. Pertanto, in presenza di un test che evidenzi tutta una serie di alimenti che portano a intolleranze, e quindi “cattivi”, è possibile dare una risposta o meglio un offerta alla domanda dell’utenza. Ci sono, però, delle incongruenze. Anche ammettendo che i vari test siano in grado di determinare gli alimenti del “benessere” e quelli del “malessere”, il discorso non può certamente limitarsi alla eliminazione di tanti alimenti fondamentali per il soddisfa­cimento dei fabbisogni nutrizionali e calorici.
Anche il più sprovveduto è in grado di comprendere che una volta fatta l’eliminazione, non è certamente possibile an­dare avanti con gli alimenti superstiti senza subirne delle con­seguenze. Invece, sembra che accade proprio questo; molte per­sone sembrano più interessate a individuare gli alimenti del “male” ma pochissimo attenti all’equilibrio dietetico.
Infatti, per quanto ho potuto constatare, sono scarsis­sime le persone che proseguono in una logicità di percorso che dovrebbe portare ad una dieta equilibrata seppure minata dalla mancanza di numerosi alimenti e a volte di interi gruppi ali­mentari. Se questo è vero una domanda di salute simile appare incongrua e al limite del misticismo.
La determinazione delle intolleranze alimentari, però, sembra promettere anche altro. Logica vorrebbe che per deter­minare allergie o intolleranze il riferimento ideale sarebbe lo studio dell’allergologo. Invece accade che questi test vengano richiesti al nutrizionista, in farmacia, nelle palestre e, persino, nei centri estetici. Il fine ultimo sembra addirittura diverso dalla richiesta, seppur incongrua, di salute e benessere vista in prece­denza. Infatti, si richiedono i test per le intolleranze alimentari per dimagrire. Il messaggio che viene raccolto da parte dell’utenza è che esistono degli alimenti che fanno ingrassare, indipendentemente dal loro potere calorico, nutrizionale e per­sino dalla quantità.
Un messaggio che un tantino sorprendente deve essere ma, nella spasmodica necessità di combattere il sovrappeso, fa superare ogni cautela e avvalora il test delle intolleranze come metodo, dall’apparenza scientifico, per combattere i chili di troppo.
Gli esperti in nutrizione sanno che questa possibilità non esiste, vale a dire che non esistono alimenti in grado conferire un aumento di peso in contrasto con ogni legge fisica e biolo­gica. Tuttavia, la domanda persiste ed è in netta crescita, così come i test e i professionisti che in maniera più o meno consa­pevole accettano di soddisfare la domanda qualunque essa sia.
Al di la delle prevedibili conseguenze (negative) e an­che trascurando il fatto che può essere un fenomeno dettato dalle dinamiche della moda, rimane che il nutrizionista si trova nella scomoda situazione di dover affrontare una domanda, non solo per le intolleranze alimentari, scomoda e a volte ambigua. Da un lato rappresenta un ostacolo per il corretto svolgimento di una lavoro già di per se faticoso, ma dall’altro è anche un’opportunità per cogliere i cambiamenti che avvengono nella società e che si traducono in nuove domande di salute e benes­sere.

Storie di intolleranze e primi colloqui

ANTONIO
Antonio mi telefona per prendere un appuntamento ma prima di ogni cosa si accerta se mi “intendo” di intolleranze alimentari. Rispondo che da specialista in scienza dell’alimentazione posso occuparmi anche di q u esto tipo di problemi. Tuttavia, non contento, la telefonata va avanti narrandomi con dovizia di par­ticolari che aveva già avuto diverse esperienze presso altri spe­cialisti e ogni volta era rimasto deluso sia per il trattamento che per i risultati.
Non assicurando nulla in mancanza di informazioni pre­cise e non volendo esprimere giudizi sull’operato di altri colle­ghi, arriviamo rapidamente alla conclusione della telefonata riuscendo a concordare un appuntamento. Antonio si presenta con forte anticipo, attende lungamente in sala d’attesa prima che arrivi l’orario stabilito e fa molte telefonate con il suo cel­lulare. Arrivato il suo turno, concludo con il precedente pa­ziente e lo invito ad accomodarsi nel mio studio.
Antonio appare angosciato e confuso. Siede su un an­golo della sedia e poggia, con una certa malevolenza, tutte le analisi che aveva fatto in precedenza. Gli faccio alcune do­mande a cui risponde con riluttanza e in molti casi solo con di­nieghi. Capisco che a questo paziente interessa sapere cosa ne penso dei suoi test. Guardo il voluminoso plico e mi accorgo con un certo stupore che nel corso degli ultimi mesi aveva ese­guito un numero davvero straordinario di test per le intolle­ranze. Gli chiedo il motivo ma ancora una volta ottengo una ri­sposta negativa.
Antonio aspetta la mia valutazione di quei test, tutti, probabilmente per sapere se era sulla buona strada oppure no. Avvertendo che il colloquio aveva come scopo il giudizio sull’operato di altri colleghi, ribadisco al paziente che non è mia abitudine fare di queste valutazioni e chiedo, questa volta esplicitamente, il motivo della sua visita. Segue un lungo silen­zio, che non interrompo anche se l’imbarazzo diventa palpabile man mano che i minuti trascorrono.
D’un tratto Antonio inizia a raccontarmi di una lunga storia iniziata quasi per gioco o per prova, costellata di continui esperimenti alimentari. Tutti questi test e conseguenti diete di eliminazione o chissà cosa, l’avevano indebolito a tal punto da essere in uno stato generale di malessere anche per il versante psichico. Infatti, mi dichiara, finalmente e apertamente, di non sapere più come deve mangiare e nel dubbio sceglie a caso tra le innumerevoli indicazioni avute.
Ad Antonio propongo di abbandonare per qualche tempo i suoi test e di iniziare un programma di cura di tipo ria­bilitativo.
Dapprima, non accetta ma richiede numerose informa­zioni, tanto che l’intero colloquio, più lungo del solito, sarà dominato dalle informazioni in mio possesso e riferite al pa­ziente. La seduta finisce con un nulla di fatto, accolgo la sua in­certezza e propongo di risentirci nel caso accettasse la mia ipo­tesi di trattamento. Raccoglie, gelosamente, il suo plico; saluta gentilmente ed esce
Antonio si ripresenta dopo diverse settimane, ancora più provato e arrabbiato di prima. Noto che il suo plico di test è nel frattempo aumentato e che numerosi colleghi gli avevano pro­posto ogni sorta di indagini e valutazioni di intolleranze.
Il paziente entra in trattamento e senza alcun test o eli­minazione alimentare particolare, nell’arco di pochi mesi, rien­tra nella sua abituale forma.
Antonio mangia tutto e non sembra soffrire di alcun di­sturbo secondario all’alimentazione. Antonio non aveva nes­suna intolleranza alimentare.

LUCIA
Lucia, è una donna ancor giovane e bella. Istruita e piena di vita, segue con ammirabile passione ogni genere di attività. Come medico avrebbe voluto specializzarsi nel campo della nutrizione ma ha preferito fare l’oculista per tradizione fami­gliare. Si presenta in perfetto orario, stranamente, con i suoi an­ziani genitori e una persona che probabilmente era il compagno di quel periodo.
Con una certa fatica riusciamo ad organizzarci nel mio studio (5 persone !) e con altrettanta fatica a parlare del suo problema. Infatti, Lucia per ogni disturbo vero o supposto ha la sua diagnosi e questo gli impedisce di ascoltare pareri diversi. Mi traccia un quadro preciso della situazione e comprendo che effettivamente l’alimentazione non deve essere estranea ai suoi disagi.
Avendo tutte le diagnosi pronte mi indica il tipo di dieta che vorrebbe e i tempi in cui dovrei presentare l’elaborato. Prima di rispondere noto che i famigliari presenti non accen­nano ad aprir bocca, anche se dai loro sguardi capisco che se ciò accadesse ne risulterebbe una lite, me presente. In questi casi preferisco assumere un ruolo direttivo e manifesto a Lucia tutta la mia perplessità, soprattutto perché è lei in prima per­sona a decidere tutto e il contrario di tutto. Come previsto il colloquio si interrompe bruscamente. Saluta cordialmente ma facendo intendere che non si sarebbe più fatta viva.
Invece, appena il giorno dopo richiama e fissa un ap­puntamento. Questa volta si presenta da sola, il suo modo di fare è completamente diverso e accetta i miei suggerimenti. Di tale cambiamento sono colpito tanto da pensare ad uno scherzo. Il discorso scivola per qualche motivo sulle intolleranze ali­mentari. Mi confessa che in passato ne aveva fatto diversi test su consiglio di un amico, ma viste le conseguenze mai avrebbe rifatto analisi del genere.
Tuttavia, negli ultimi tempi è vittima di uno strano calo di peso. Nel dubbio invito Lucia a recarsi dal suo medico cu­rante per dei controlli di routine e di lasciar perdere, almeno per il momento, le sue autodiagnosi. Risulta tutto normale salvo il fatto che è celiaca, un’intolleranza alimentare. Succede anche questo: intolleranze supposte che nascondono intolleranze au­tentiche.

CARLA
Un’esperienza emblematica è stata la vicenda di Carla. Fissa più volte un appuntamento ma annulla altrettante volte. Infine, si presenta al nostro primo incontro. Accolgo Carla e parliamo per qualche minuto del più e del meno. Infatti, è molto ansiosa e penso che andare subito al punto possa accrescere maggior­mente la sua inquietudine.
Finalmente, mi parla chiaro è mi spiega che si è rivolta a me per provare il “mio test” sulle intolleranze alimentari; i precedenti avevano tutti fallito. Cerco di capire a quali falli­menti alludesse, ma Carla è molto reticente e si rifugia in argo­menti di natura tecnica piuttosto confusi e disarticolati. Osservo questa paziente e mi rendo conto che non solo il suo peso è ele­vato ma che, addirittura, è certamente una persona fortemente obesa. Provo a chiedere se i precedenti test sulle intolleranza avevano fallito nel dimagrimento. A questo punto le sue parole arrivano come un fiume in piena per lungo tempo trattenute. Mi confessa quanto avesse sperato, ogni volta, di conoscere esattamente quali alimenti la facessero ingrassare. Ogni volta è rimasta delusa anche se gli era stato assicurato che il suo problema di peso sarebbe stato risolto in poco tempo e con relativa poca fatica. Adesso prova con me e vuole sapere come si chiama il test che uso e quali af­fidabilità ha. Quindi, Carla, vuole affrontare la sua obesità ve­locemente e con poca fatica. Appena l’altro ieri avrebbe cercato la pillola dimagrante magica, oggi nel mondo tecnologico, la determinazione degli alimenti responsabili dei suoi chili in ec­cesso.
Consapevole dell’enorme malinteso circa la cura dell’obesità, gli propongo di partecipare ad una delle riunioni di auto aiuto che con regolarità di svolgono nel centro per farsi un’idea di come altre persone affrontano il suo stesso problema. Accetta, ma fa capire che niente è sicuro. Quindi, rimaniamo d’accordo che solo dopo questo incontro di gruppo avrebbe de­ciso cosa fare.
Purtroppo, Carla non si fa più viva. Probabilmente e an­cora alla ricerca degli alimenti ingrassanti che non troverà mai. Probabilmente, la sua obesità è cresciuta ed è diventata il prin­cipale fattore della sua ansia e infelicità e presto o tardi anche della sua salute. Carla si è rovinata la vita per un test che non esiste.

Gli attuali test per le intolleranze
In questa sede mi riferisco soprattutto ai test considerati alter­nativi e non provati scientificamente ma che godono di una certa popolarità tra medici, specialisti e pazienti. In realtà non è possibile fare un elenco esaustivo delle metodiche proposte dalle aziende produttrici. I nuovi prodotti e il ritiro dal mercato di altri impediscono di fare un resoconto dettagliato di quello che accade nella nostra realtà.
Credo che ogni professionista dovrebbe decidere da se quale metodiche adottare seguendo la strada della validazione, vale a dire il riconoscimento da parte delle autorità pubbliche di metodiche scientifiche a fini diagnostici. Sul sito web del Ministero della Salute è possibile trovare l’elenco di tutti i di­spositivi elettromedicali che hanno superato positivamente l’esame.

Conclusioni
E’ proprio vero che siamo diventati tutti intolleranti. Se alcuni milioni di persone si rivolgono incessantemente nei vari ambu­latori e laboratori per avere delle risposte ai propri disagi qual­che motivo ci deve essere. Secondo me, ci sono più verità da considerare.
In primo luogo, noto che la nostra alimentazione è tal­mente cambiata e in tempi talmente veloci che il nostro organi­smo non può che pagarne delle conseguenze, inoltre, i disagi delle persone sono autentici e non necessariamente riconducibili a problemi di natura psicosomatica. A questo si aggiunge che l’industria alimentare propone cibi completamente tecnologici con massiccio impiego di additivi, pertanto, è molto probabile che tutte queste sostanze estranee causino problemi di allergie o intolleranze. C’è anche il fattore importantissimo dei messaggi della diet industry che fa intendere i problemi legati all’alimentazione come banali e di facile soluzione; basta tro­vare il metodo giusto. In ultimo, la forte incidenza dell’obesità nella nostra popolazione. I protocolli per il trattamento dell’obesità sono complessi e articolati. Non può essere garan­tito il successo per via di una recidiva sempre in agguato, inol­tre, le strutture sanitarie sono spesso inadeguate per questo tipo di problema. Il risultato è che la popolazione ingrassa sempre più e di conseguenza la ricerca dell’individuo di una soluzione diventa sempre più impellente. I test delle intolleranze alimen­tari sembrano rispondere a questo tipo di esigenza e le persone ne fanno un largo consumo. Tuttavia, lo shopping estremo delle diverse metodologie analitiche ci avvisa che siamo in una terra di nessuno dominata dalla sola speranza, un aspetto sempre inquietante quando si parla di salute. Purtroppo, si sa che chi di speranza vive…

© Riproduzione riservata
 
 
Powered by Ouram web